Campo estivo 2017. Conclusione
Prendete un piccolo sogno e realizzatelo.
Prendete un cuore e uno stomaco, poche certezze e tantissime domande. Prendete la voglia di mettersi in gioco e di farsi stravolgere. Prendete i vostri comfort e lasciateli a migliaia di km. Prendete delle treccine, degli occhi scuri e dei sorrisi disarmanti.
Prendete anche una nuova prospettiva, la gioia di una doccia, di un pasto da condividere in silenzio, dallo stesso piatto tutti insieme, mangiando con le mani.
Prendete la notte stellata davanti a un bicchierino di ataya, prima di dormire in un letto tutt’altro che comodo, ma in compagnia di bambine che di infantile hanno poco, sono già delle donne, delle guerriere.
La mattina, fate una passeggiata nel quartiere per comprare la colazione e gustatela in terrazza.
Aggiungete canti, balli, irruenza ed esuberanza a non finire.
Prendete i temporali e considerateli una benedizione, da ringraziare con una danza improbabile appesi al retro di un pulmino.
Prendete un falò, consideratelo un momento importantissimo della tradizione del vostro paese e vivetelo di conseguenza.
Mettete il tutto su un letto di sabbia, odori più o meno gradevoli, colori meravigliosi e mercati affollatissimi; gente che ti saluta per strada apostrofandoti “toubab”, taxi e pulmini a dir poco folkloristici.
Prendetevi del tempo, perché ce ne vuole molto: la fretta non esiste.
Aggiungete due colpi a uno djembé…e tutto diventa una festa.
Prendete dei bambini che si danno al 100% e che hanno tanto da insegnarvi. Portateli in una città, lontano dalle loro case in mezzo alla natura più selvaggia o dalle lamiere che sono costretti a chiamare “casa” e fate loro vivere due settimane piene, intense, gioiose.
Ah, aggiungete i saluti. No, ecco, i saluti no.
Rimescolate e frullate il tutto e cuocete in forno a 180°C.
Benvenuti in Senegal. Benvenuti a Dakar.
Grazie a Elisa, Isabella, Caterina, Alessandro, Laura, Tobia e Antonio che hanno vissuto con me tutto questo e molto di più. Grazie a Maurizio che ci ha seguiti da qui. Grazie a tutti i monitori senegalesi che ci hanno accolti come fratelli.
Jërëjëf.
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